Dalla deflazione all’inflazione, in un’economia di pandemia
“Siamo in guerra”: da settimane questa frase viene ripetuta ovunque, dai giornali alla televisione passando non certo indenne per i social network. Così esperti o meno, criticano, commentano o reclamano le soluzioni per questa “economia di guerra”. Ma veramente siamo in guerra?
Io in realtà in questo articolo vorrei parlare di altro: di domanda, di offerta e soprattutto di inflazione e deflazione, prima però definiamo le basi.
Che cos’è l’inflazione?
Con il termine inflazione si indica l’aumento prolungato e generalizzato dei prezzi di beni e servizi circoscritto ad un’area territoriale in un periodo temporale determinato. Per esempio: l’inflazione dei prezzi al consumo nel 2019 in Italia (oppure in Lombardia o nell’Area Euro).
L’inflazione si misura attraverso “indici” che tengono conto della variazione dei prezzi di un elenco di beni e/o servizi rappresentativi di un settore o di un’area di riferimento.
Il fenomeno dell’inflazione genera una perdita del valore della moneta, cioè riduce la quantità di beni e servizi acquistabili con una stessa somma di denaro a distanza nel tempo.
Cosa si intende per deflazione?
Con il termine deflazione si indica invece una riduzione diffusa del livello dei prezzi, come effetto spesso associato ad un rallentamento dell’attività economica e ad un aumento dei tassi di disoccupazione
In caso di deflazione, gli indici utilizzati per misurare l’inflazione avranno valori negativi per periodi di tempo prolungati.
La deflazione è un fenomeno che può avere diverse cause, ad esempio:
• un calo significativo nei costi di produzione o di erogazione di un bene o di un servizio
• un tasso di innovazione che migliora l’efficienza nella supply chain
• il calo dei prezzi delle materie prime
Ma, può anche presentarsi come effetto della caduta della domanda aggregata di mercato. Un calo nella richiesta di prodotti e servizi innesca infatti un circolo vizioso:
• i produttori cercano di stimolare la domanda abbassando i prezzi e aumentano la competitività al ribasso
• il calo dei ricavi e della profittabilità fa calare i salari ed aumentare la disoccupazione
• la diminuzione del reddito e l’aumento della disoccupazione riduce la domanda di beni e servizi
• lo Stato incassa meno tasse e vede ridursi la capacità di spesa per i servizi essenziali come sanità, scuola, trasporti
• il calo dell’attività economica influenza negativamente i mercati con la conseguente perdita di fiducia nel breve e medio periodo nei confronti dello Stato e delle imprese che vedono così negarsi credito
La deflazione, che ad occhi ingenui potrebbe sembrare positiva per le famiglie che vedono aumentare il loro potere d’acquisto, in realtà può rivelarsi proprio l’orlo del precipizio, poiché accresce il valore della moneta e quindi fa aumentare anche il valore dei debiti contratti (mutui, finanziamenti, emissioni obbligazionarie), in un ciclo, che se non viene invertito, può portare anche al default, cioè: proprio al fallimento di famiglie, imprese e persino lo Stato.
No, non siamo in un’economia di guerra
Cosa sta succedendo alla nostra economia a causa della quarantena imposta per il Coronavirus?
In questo momento, come la maggior parte di noi si è già resa conto, si è ridotta fortemente l’attività economica e tutti i cicli sottostanti: io non compro, tu non vendi; io non lavoro, tu non produci; io non pago, tu non sei pagato; e così via.
In molti hanno definito questa situazione come un’economia di guerra, ma a mio modesto parere non è così, semmai è un’economia di pandemia (cioè un’epidemia su scala globale).
In un periodo di guerra c’è un bisogno estemporaneo di mezzi di trasporto, di armi, di materiale militare, ma anche di medicine, di ospedali e beni di prima necessità, ma le condizioni per soddisfare la domanda in termini produttivi non sono favorevoli a causa della scarsità di risorse e di mezzi.
Storicamente la guerra ha sempre innescato inflazione, perché la domanda aumentava più velocemente dell’offerta.
In una situazione di pandemia come quella che stiamo vivendo, non ci sono però infrastrutture distrutte, non c’è scarsità di materie prime, non c’è mancanza di manodopera perché caduta in battaglia sotto un bombardamento nemico o ancora al fronte a combattere.
In questo caso, ciò che blocca il ciclo produttivo e che ancora di più sopprime fortemente la domanda, è il confinamento a casa.
Se sono obbligato a stare in casa, non potrò andare al cinema nel fine settimana a vedere il nuovo film di 007 che è pronto per il lancio, né potrò andare in vacanza a Pasqua in quell’hotel sul lago che ha già preparato la stagione, né tantomeno potrò andare a caccia di saldi al centro commerciale, anche se i negozi sono carichi di merce pronta per essere venduta.
Ecco perché la gestione dell’epidemia è deflazionistica, perché la domanda, tranne che per alcuni beni di prima necessità, diminuisce più velocemente dell’offerta.
Inoltre, è ogni giorno più chiaro, che un’emergenza economico sanitaria di portata pandemica come quella di COVID-19 non sia mai stata pianificata né preparata con le giuste contromisure da parte dei sistemi di governo nazionali e sovranazionali (nonostante fosse stata prevista e genericamente annunciata da più parti nel recente passato).
Questa è dunque la nostra prima volta: stiamo navigando a vista.
Non avendo avuto la lungimiranza di essere proattivi, oggi i sistemi possono solo tentare di essere efficaci in maniera reattiva, sacrificando in nome della salute pubblica, sia l’efficienza economica sia quella sanitaria.
C’è un altro aspetto che differenzia questa pandemia da una guerra: la modalità con cui si conclude. La fine di una guerra ha connotazioni più definibili. L’annuncio di un armistizio stabilisce vinti e vincitori, sancisce la fine della guerra e l’inizio di un tempo di pace.
Al contrario, la fine di questa pandemia è intrinsecamente indefinibile, non può essere circoscritta in confini temporali e territoriali. Nemmeno con la presenza di un vaccino disponibile si potrà stabilire che il tal giorno x la guerra al virus sarà conclusa, poiché i tempi di produzione e le campagne di vaccinazione nei vari paesi saranno distribuite in periodi lunghi mesi e non certo di giorni.
Dai comportamenti alle previsioni macroeconomiche
Con la curva dei contagi che rientra a numeri gestibili, il nostro e gli altri governi stanno pianificando una graduale ripresa delle attività, ma nei giorni a venire non ci sentiremo certo esplodere euforici pronti a ricominciare, a spendere e produrre, anzi il sentimento più condiviso sarà un quello di costante allerta, motivato dall’incertezza economica, sociale e politica.
Allerta nei comportamenti, allerta negli investimenti, allerta nelle spese, allerta nel futuro. Non certo quel sollievo carico di aspettative che aiuta il libero consumo. La ripartenza sarà tanto lenta quanto la fine di questa pandemia: una transizione verso una ripresa che richiederà alcuni anni e che ci modificherà nel profondo sia intimamente a livello personale sia nelle logiche e nei rapporti di forza globali.
Cosa potrebbe accadere quindi?
Fare previsioni è più un esercizio critico e creativo, buono per simulare scenari utili a prendere decisioni, più che un metodo per prevedere con esattezza il futuro per fare scelte a cuor leggero.
Il popolo reclama i “piani Marshall” e i “soldi per tutti gettati da un elicottero”. I governi e le banche centrali bisticciano, ma sostanzialmente le scelte andranno verso l’immissione più o meno controllata di moneta e l’inevitabile crescita di debito pubblico.
Non si deve dimenticare che da un punto di vista economico e finanziario, le soluzioni che i governi e le banche centrali stanno adottando in questa fase, prendono a riferimento situazioni passate e potrebbero rivelarsi inadeguate nel medio e nel lungo periodo, in uno scenario globale trasformato ed inedito per tutti.
“Se il presente cerca di giudicare il passato perderà il futuro”
Winston Churchil
Nel breve e medio periodo, l’assenza di leva finanziaria, come da manuale, dovrebbe stimolare la crescita e anche l’inflazione, ma questo negli ultimi anni non è avvenuto nemmeno in situazioni “normali”, dubito quindi che possa accadere ora.
La lenta ripresa condizionata dalle contromisure per il rischio sanitario e dalla relativa ansia sociale potrebbe far prevalere un periodo con tendenza deflattiva per il mancato recupero della domanda pre-virus, con profonde differenze tra i vari comparti, le varie economie e le aree monetarie.
Ci sarà inflazione o deflazione?
Le economie che si sono dimostrate più agili, come quella americana e quella cinese potrebbero assimilare prima una nuova normalità alternativa, con un più rapido adattamento a nuove condizioni di vita e quindi avere una ripresa più veloce dei consumi con conseguente crescita ed accenni di inflazione già nella fase di coesistenza con il virus e una riduzione dei tassi di disoccupazione.
Questo trainerebbe anche alcune importanti economie strettamente legate a USA e Cina, come ad esempio quella sudcoreana.
Nelle economie più lente, come quella europea (già caratterizzate da due velocità: nord vs sud) o quella giapponese, il calo della domanda all’intero del mercato di pertinenza potrebbe controbilanciare la debole tendenza inflattiva della disponibilità di moneta, con fenomeni deflattivi. Così da portare i valori di inflazione in territorio negativo per l’intero periodo di transizione in coesistenza con il Coronavirus.
Le economie emergenti invece, sono estremamente incerte, poiché non è ancora chiaro come saranno impattate dal virus nei prossimi mesi e quali conseguenze subiranno in un eventuale corso di de-globalizzazione.
Solo quando il capitolo pandemia sarà terminato, potrebbe esserci terreno fertile per un lungo periodo di inflazione dovuto a tre principali motivi:
• nuove politiche fiscali,
• una fase di deglobalizzazione che porterebbe un aumento dei prezzi a causa dell’aumento dei costi di produzione “locali”
• ed infine: un mondo più chiuso, meno propenso alla collaborazione con dazi, limiti alla circolazione delle merci e politica di riduzione dell’immigrazione.
La vera sfida: la disoccupazione
Se la deflazione nel periodo di coesistenza con il virus si configurasse, si andrebbe incontro a stagioni recessive, in stagnazione o perfino di depressione, con effetti negativi importanti sui livelli di occupazione.
Sul fronte occupazione, credo che lo shock da virus abbia già innescato radicali cambiamenti nei modelli di business aziendali che vedranno l’adozione definitiva di sistemi di intelligenza artificiale, di robotica avanzata e di una completa digitalizzazione di infrastrutture e processi, che sacrificherà il lavoro di un numero enorme di persone non più idonee all’attività per qualifica, competenze o semplicemente per età.
Così nell’area euro, solo una valida strategia che stimoli la ripresa dell’occupazione, dopo il previsto calo attuale, potrebbe segnare una ripresa dei prezzi, vista anche l’enorme liquidità che gli stati dovranno iniettare per diversi anni sul mercato per salvare imprese e interi comparti strategici.
Ovviamente la risalita dei prezzi non sarà omogenea: comparti produttivi e filiere avranno per tutta la fase di transizione notevoli differenze a seconda dell’impatto che la presenza del virus avrà avuto sui loro modelli di business.
Come difendere il patrimonio di famiglia?
I periodi di deflazione sono così importanti per costruire una fase di tutela dei propri risparmi e potersi difendere dalle successive fasi di inflazione.
Questo periodo di crisi è così un’opportunità straordinaria perché permette di iniziare a creare un piano di accumulo sugli strumenti che possono fare da scudo alla perdita di potere d’acquisto che potrebbe poi presentarsi:
• il primo è il mercato azionario, principalmente americano e legato alla tecnologia, che avrà un ruolo da protagonista nel rilancio dell’economia globale.
Se sale l’inflazione, c’è mediamente ripresa economica ed il mercato azionario inizia a salire anticipando il fenomeno.
• obbligazioni legate al tasso d’inflazione, che in questo periodo sono scese di prezzo e nel lungo hanno cedole indicizzate al tasso di crescita dei prezzi
• l’oro, materia prima che è sempre più scarsa e che può tutelare i patrimoni sia nelle fasi di incertezza sia in quelle di iperinflazione
È necessario un processo di pianificazione finanziaria e di tutela patrimoniale che possa blindare i patrimoni dai rischi inflattivi, da possibili patrimoniali o prelievi forzosi, che paesi, con debito pubblico a livelli d’allerta come l’Italia, potrebbero adottare.
Conclusioni
La crisi che stiamo vivendo, difficilmente troverà soluzioni nei modelli del passato. Non c’è mai stata crisi o guerra che abbia generato un sistema causa-effetto paragonabile a quello attuale.
Vivremo un lungo periodo di transizione verso una nuova normalità. E probabilmente la stabilità che verrà ricercata sarà raggiunta dopo anni di piccole e grandi turbolenze, non prive di fenomeni inediti che impareremo a conoscere.
Per chi investe, una comprensione adamantina delle regole economico-finanziarie e l’accettazione di un nuovo livello di incertezza e complessità, saranno gli unici fattori che porteranno persone e capitali a nuovi traguardi.
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Giovanni Cuniberti
Consulente finanziario fee only, Esperto di mercati Docente a contratto dell'Università di Torino
Il mio obiettivo è aiutare le persone ad avere maggiore consapevolezza dei propri investimenti.
Mi impegno per la diffusione di una cultura finanziaria utile alla serenità delle famiglie e affianco i miei clienti nelle decisioni di investimento a protezione e difesa dei loro patrimoni.