Il PIL, tra il benessere e la sostenibilità
É da qualche giorno che l’aggiornamento di Fitch sulle stime di chiusura del PIL italiano per il 2020 fa discutere le parti sociali, soprattutto per le conseguenze attese sul tasso di disoccupazione per il 2021.
I giornali titolano che l’Italia è tornata indietro di 23 anni, con il valore di PIL simile a quello del 1997 e questo spaventa molti (giustamente).
Ma, da un punto di vista socio economico, il PIL è un indicatore imperfetto.
Gia Bob Kennedy, in un famoso discorso del 1968, ne delineava le mancanze.
Del resto, se prendo un treno per andare da Torino a Milano, il PIL cresce, ma se mi accompagna in auto un amico che doveva fare lo stesso percorso, il PIL non varia nonostante io mi sia spostato. Anzi, l’impatto ambientale (ed i relativi costi) sulla nostra scelta di non prendere il treno, non viene nemmeno presa in considerazione.
Ecco perchè per valutare meglio se siamo o meno “ritornati al 1997”, sarebbe opportuno valutare anche altri parametri.
Ed è proprio per questo che, nel 2010 l’ISTAT, insieme alle parti sociali, ha istituito il BES: il rapporto su Benessere e la Sostenibilità, che tracciando 12 domini e i relativi indicatori, compone una fotografia migliore sulle condizioni socioeconomiche del paese.
Questo stesso rapporto è diventato dal 2016 parte integrante del DEF – documento di economia e finanza del Governo.
Uno scrittore indiano diceva che “la consapevolezza richiede fatica, ma la fatica è il valore della consapevolezza”. Ecco perchè per farsi un’idea più precisa di come stiamo non basta leggere il titolo di un giornale, ma serve un po’ più di fatica.
Giovanni Cuniberti
Consulente finanziario fee only, Esperto di mercati e Docente a contratto dell'Università di Torino
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